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Il Made in Italy è di nuovo in grande spolvero ed è tornato a vendere all'estero.
Il rapporto Sace osa previsioni promettenti che il nostro Paese sta fieramente mantenendo, con 482 miliardi di euro di beni nostrani venduti nel 2021.
Ma come inserirsi in questa ricca opportunità, senza farsi del male?

La strabiliante macchina dell’export Made in Italy è tornata a bruciare carburante e muoversi a ritmi pre-pandemici, grazie a un rimbalzo dell’11,3%.

Dopo la brusca frenata del 2020, l’eccellenza della produzione italiana riconferma il suo valore, senza un minimo di esitazione.

I prodotti Made in Italy continuano ad essere richiestissimi, a dimostrazione che il cataclisma pandemico è stato solo un ostacolo passeggero alla richiesta di beni e prodotti da parte di tutto il mondo.

Le previsioni del rapporto Sace sull’export 2021 riportano dati eccezionali:

  • 482 miliardi di euro in beni esportati, a fine anno
  • +5,4% di crescita delle esportazioni nel 2022
  • +4% la crescita media attesa nel biennio successivo

Il prospetto sancisce la piena ripresa del fiore all’occhiello dell’economia italiana, che supera addirittura le performance di superpotenze come gli Stati Uniti e la Francia.

Il settore che regna sovrano nel volume d’affari è sicuramente quello agroalimentare, per lasciare poi spazio all’industria chimica e metalmeccanica.

E per quanto riguarda il settore della Moda, i dati sono contrastanti. Se in generale l’industria tessile e dell’abbigliamento rimane penalizzata dalla crisi pandemica, ci sono mercati che stanno richiedendo sempre di più l’eccellenza della manifattura Made in Italy.

Vendere all’estero rappresenta sicuramente un’opportunità di crescita potenzialmente infinita per un’azienda e, in un periodo di floridità di settore così intensa, è opportuno cogliere la palla al balzo. Proprio come stai pensando ora, con tanto entusiasmo.

Ma prima di chiudere contratti frettolosi e compilare bolle di spedizione in quattro e quattr’otto, è doveroso renderti consapevole che portare la tua azienda all’estero non è un “pezzo di torta” (come direbbero in Inghilterra) o “come un dente” (equivalente russo di un gioco da ragazzi).

Abbiamo usato questi modi di dire, tradotti letteralmente per introdurti uno dei motivi per cui dovresti stare molto attento e prenderti del tempo prima di imboccare operativamente la strada dell’export, attraverso le storie disastrose di alcuni colossi che hanno bruciato ingenti investimenti nel tentativo di vendere in mercati esteri.

Anche i colossi piangono

Chi si sarebbe mai aspettato che il lancio di un brand tanto affermato come i famosi cereali Kellegg’s si sarebbe rivelato un autentico flop, in un paese come l’India?

Quello che vi stiamo per raccontare è accaduto realmente (non solo a Kellog’s) e dimostra come la strategia di internazionalizzazione non possa essere improvvisata, ma abbia bisogno di pianificazione, instancabile ricerca e test di mercato.

Nel 1994, Kellogg’s, il primo produttore di cereali al mondo, con una rete commerciale solida ed espansa in tutto il pianeta, aveva deciso di conquistare anche il mercato indiano.

La multinazionale con più di 18 impianti di produzione sparsi in tutto il mondo e 180 paesi in cui vengono commercializzati i propri cereali non era di certo un principiante nel settore, né di fronte ad una strategia di marketing per l’estero – un tassello fondamentale per la buona riuscita dell’export di un’azienda.

Eppure, forte della sua fama e dell’autorevolezza guadagnatasi negli anni, come brand, Kellog’s aveva deciso di lanciare (o forse dovremmo dire sfracellare) i fragranti cereali sugli scaffali dei negozi alimentari indiani senza una particolare strategia di marketing.

Quasi come un contadino che sparge semi sulla terra arata e aspetta che la stagione faccia crescere le piante, probabilmente i dirigenti del noto marchio pretendevano che il prodotto si sarebbe venduto da solo, semplicemente perché targato Kellog’s.

Effettivamente, i primi risultati – grazie ad una campagna di lancio dalle dimensioni giunoniche, sono stati incoraggianti. Poi, sono crollati drasticamente.
C’era una spiegazione. C’erano degli errori nella strategia di export da milioni di dollari di Kellog’s.

Il successo iniziale della marca di cereali si è rivelato un fuoco di paglia: consumato in pochissimo tempo, per due motivi principali:

  • Il primo era che la gente inizialmente comprava il prodotto solo sull’onda dell’entusiasmo per la novità del momento;
  • Il secondo era che gli indiani non erano realmente interessati ai cereali fragranti della Kellogg’s.

Quello che ti stiamo per spiegare, conferma uno dei princìpi fondamentali per vendere all’estero che un’azienda non dovrebbe mai sottovalutare.

Non basta tradurre il sito in inglese per vendere all'estero

Kellogg’s è un’azienda americana, nata e appartenente ad una cultura occidentale, significativamente diversa da una cultura esotica e variegata come quella indiana.

Prima di portare il prodotto in India, Kellogg’s aveva bisogno di un processo di localizzazione del prodotto, ovvero di adattamento linguistico, culturale, sociale, climatico (in alcuni casi anche geologico) e pragmatico alla cultura del paese importatore.

L’uso dei cereali, negli Stati Uniti è legato prevalentemente alla colazione, accompagnato dal latte freddo.

Se il prodotto, in India, era destinato al medesimo utilizzo, i dirigenti della multinazionale statunitense non hanno condotto, però, analisi approfondite sugli usi e i costumi della colazione indiana.

In India, infatti, anche se all’inizio degli anni Novanta il latte era utilizzato a colazione, non era di gran uso accompagnarlo con i cereali, per motivi scolpiti nella loro cultura millenaria.

La colazione indiana, infatti, tende ad essere calda e piccante.

I cereali che si rammolliscono nel latte caldo non sono molto appetibili. E tendono ad addolcire troppo la colazione.

La spiegazione del fenomeno risolve anche l’anello mancante dell’insuccesso di un marchio così popolare su cui, tuttavia, erano state investite ingenti risorse economiche sottovalutando gli aspetti culturali di un paese.

Fortunatamente per Kellog’s, l’azienda ha rivisto la sua strategia di marketing per l’India ed è riuscita a risollevare il volume d’affari, in questo mercato.

Errori di valutazione così delicati sono estremamente frequenti, quando si tratta di creare reti commerciali in nuovi mercati.

La vicinanza geografica o la comunanza linguistica potrebbe trarre in inganno. Invece, anche poche centinaia di chilometri possono creare delle barriere insormontabili dove vanno a infrangersi i tuoi sogni di espansione nel mondo (e i tuoi investimenti in internazionalizzazione).

I 5 errori fatali che le aziende commettono quando vogliono vendere all'estero

Il tuo prodotto funziona benissimo in Italia e il volume d’affari si è triplicato negli ultimi anni. Ti è fioccata anche qualche vendita a caso dall’estero, motivo per cui stai pensando di espanderti seriamente e iniziare a spingere le vendite oltreconfine.

Come molti, pur non disponendo di personale specializzato – leggasi “marketing manager” e “export manager” intanto per iniziare – opti per una gestione fatta in casa, inviando a trattare con i buyer internazionali i tuoi dipendenti interni e il loro inglese/francese/tedesco che risale agli anni impolverati del liceo.

Ti è fioccata qualche vendita a caso dall’estero, per cui decidi di inviare ai buyer internazionali i tuoi dipendenti, con il loro inglese / francese / tedesco che risale agli anni impolverati del liceo.

Il nostro consiglio è: fermati subito prima di combinare ulteriori danni!

Vendere all’estero e internazionalizzazione rientrano tra le sfide più insidiose per un’azienda, tanto da costare la chiusura dei battenti della stessa, se le cose vanno male.

Un conto, però, è essere Kellog’s / Coca Cola / Colgate-Palmolive, che se sbagliano e perdono qualche milione di dollari manco se ne accorgono.

Altra cosa è rappresentare uno dei tanti piccoli produttori artigianali dell’eccellenza italiana, tanto richiesta all’estero eppure estremamente frammentata per potersi permettere un errore da multinazionale.

Gettarsi in un mercato estero senza pianificazione, alla ricerca di contatti diretti e vendita è un errore grossolano commesso da aziende avventate ed inesperte.

Ti illustriamo le cattive pratiche che non dovresti mai e poi mai mettere in atto, se hai intenzione di vendere il tuo prodotto all’estero.

Errore 1: non avere un team di marketing con competenze digitali

Tra le risorse di cui non puoi fare a meno c’è il team Marketing. Non un freelance generalista che ti sistema il sito web, quando si inceppa. Devi invece essere sicuro di poter contare su più figure con specializzazioni diverse e complementari:

  • se vendi con ecommerce, lo sviluppatore web che configuri il sito per avere diversi listini e valute a seconda del Paese
  • lo specialista in pay-per-click per stanare dove investono i competitor, e quanto
  • lo specialista in marketing automation, per raccogliere i contatti dall’estero e segmentarli con precisione
  • il data analyst per raccogliere i dati ed interpretarli correttamente

Adesso stai iniziando a capire perché non ti basta un sito tradotto in inglese per vendere all’estero?

Tranquillo, non devi avere tutte queste figure all’interno in azienda. Puoi anche appaltare il lavoro ad un team marketing esterno, durante la tua fase di crescita.

Grazie a questo potente alleato, ti ritroverai con una miniera di informazioni strategiche in più che utilizzerai per intercettare i migliori clienti all’estero, e spiccare rispetto ai competitor meno attrezzati di te.

In una prima fase, infatti, procederai con un’analisi approfondita del mercato e dei fornitori che stanno vendendo di più. 

Internet è una fonte inesauribile di suggerimenti e opportunità, ma devi sapere dove e come cercare. 

Ad esempio, è inutile cercare chi vende il Made in Italy in Inghilterra dal tuo ufficio del coworking in Italia. Serve minimo minimo una VPN che simuli la presenza sul suolo britannico (ed altri strumenti per scovare l’ammontare dei budget investiti).

Hai bisogno di studiare il tuo pubblico e i tuoi concorrenti diretti. Devi sapere cosa cercano quando hanno bisogno del tuo stesso prodotto, quali sono le loro abitudini di consumo, cosa pensano dei prodotti attualmente in commercio, cosa non li soddisfa e cosa vorrebbero invece.

Ti riassumiamo le informazioni che è indispensabile recuperare, a proposito dei competitor:

  • strategie di marketing dei competitor
  • messaggio e proposta di valore
  • budget e canali per le campagne pubblicitarie
  • offerte di front-end sui prodotti
  • politiche di fidelizzazione cliente
  • pubblico target

Quando avrai raccolto e documentato queste informazioni, vedrai che la strategia si paleserà chiara e lampante davanti i tuoi occhi. E se così non fosse, puoi sempre coinvolgere un Marketing Manager esperto per pianificare le strategie di ingresso nel mercato.

Nel frattempo, l’Export Manager si occuperà di localizzare adeguatamente il prodotto lì dove serve, per adeguare il tuo prodotto alla cultura del Paese scelto.

Errore 2: non avere un Export Manager

Come ormai ti starai rendendo conto, esportare non è solo prendere merce dal magazzino e caricarla su camion, cargo e container in vista di una terra promessa.

Uno dei primi ostacoli più demotivanti è la burocrazia diversa da Paese a Paese. Già, non siamo i soli che ci complichiamo la vita con procedure infinite e inutilmente complicate.

Quanti documenti ti servano per portare la tua merce all’estero senza che, nel migliore dei casi, ti venga rispedita indietro, se non sequestrata e corredata di una multa salata? E se movimenti container di alimentari freschi, puoi anche considerarli perduti.

Nei mercati extra UE, dove la circolazione delle merci non è libera come nella Comunità Europea, ti scontri con tariffe e dazi doganali, documenti da presentare alla dogana e certificazioni di prodotto diverse anche da quelle europee.

Ti citiamo alcune delle documentazioni di cui avrai bisogno:

  • Contratto di compravendita tra le parti contraenti
  • Fattura
  • Packing List
  • Descrizione Tecnica dettagliata
  • Certificazioni e registrazioni
  • Lettere di vettura
  • Bolla di spedizione

Non puoi occupartene da solo, se non sai come fare. E’ un processo snervante. Una delle mansioni più difficoltose al mondo è provare a dialogare con un gruppo di funzionari della dogana infreddoliti e infastiditi, magari prevenuti verso gli italiani.

Per questo esistono gli Export Manager: ovvero figure che hanno votato la propria esistenza a far scivolare la merce dal tuo magazzino al cliente finale, senza intoppi e senza l’ansia di aver perso per sempre il prezioso carico.

Soprattutto in Paesi dov’è più complesso importare beni a causa delle numerose restrizioni e delle certificazioni richieste, ci si scontra con problematiche alla dogana.

Non sono rare, in Russia ad esempio, le così dette “vzkjatki”: mazzette di denaro richieste attraverso pratiche poco trasparenti di alcuni ufficiali.

Il compito del tuo Export Manager sarà risolvere queste magagne (vedi anche sotto all’Errore 4). Di certo, non è una mansione da tutti. Assicurati di scegliere un professionista che ha una comprovata esperienza nel ruolo. Presto lo amerai più della tua serie Netflix preferita.

Errore 3: non calcolare un budget di investimento

Tu magari ti aspetti che ampliare il tuo mercato porterà denaro fresco in cassa, copioso ed abbondante.
Per cui non ti sei preoccupato di calcolare un vero e proprio prospetto delle spese da sostenere per:

  • Contratti e spese legali
  • Accordi con spedizionieri
  • Certificazioni
  • Margini su tariffe e dogane
  • Materie prime in vista dell’aumento della produzione

E l’elenco di spese potrebbe continuare. Le certificazioni, probabilmente, rappresentano la voce più costosa, fra queste. Alcune certificazioni per il mercato russo, ad esempio, possono costare decine di migliaia di euro.

Per questo, hai bisogno di redigere un elenco preciso dei costi da sostenere, così come calcolare il profitto generato dalle vendite all’estero.
Insomma, un conto economico.

Errore 4: non fare ricerca

Ne abbiamo già parlato prima, a inizio articolo. Questo l’errore più grave che un imprenditore possa commettere. Eppure, ci cascano in moltissimi.

L’imprenditore è ottimista per natura, e tende a sottovalutare le variabili esterne che hanno un impatto sullo sviluppo del business.

Analizzare il mercato richiede tempo e risorse umane, ma è cruciale a fini della riuscita del progetto di internazionalizzazione.

Ci sono strumenti che permettono di considerare le diverse variabili che possono influenzare i tuoi risultati:

  • Analisi PESTEL (analisi del contesto esterno): è l’analisi dei quattro punti cardine del Paese di destinazione, ovvero assetto Politico, ambiente Economico, sistema Sociale e livello Tecnologico;
  • Analisi SWOT: è l’analisi che permette di individuare punti di forza, di debolezza, minacce e opportunità per il tuo progetto di internazionalizzazione;
  • Analisi della concorrenza: è l’analisi fondamentale per trovare uno spazio dove emergere nel mercato di riferimento.

La continua ricerca e analisi del contesto è l’antidoto a quella cosa che gli imprenditori sprovveduti chiamano sfortuna. L’analisi ti aiuta ad avere dei piani e studiare il contesto esterno, le minacce contro cui si interfaccia la tua azienda e le soluzioni che puoi apportare velocemente per sciogliere i problemi come neve al sole.

Proprio come ha fatto la nostra collaboratrice Giulia Cecchini, export manager che ha assistito varie aziende del settore Moda e Food&Beverage nell’esportazione di beni. In questo caso specifico parliamo di un’azienda italiana, leader nel settore delle bevande, il cui mercato di riferimento era la Thailandia.

L’azienda presentava notevoli problemi di resi in Thailandia: a causa delle alte temperature, la qualità della bevanda si degradava velocemente, producendo corpuscoli all’interno della bottiglia. La conservazione avveniva ad una temperatura ambiente molto più alta rispetto a quella di origine e le bottiglie erano sottoposte ad un notevole stress termico durante il lungo tragitto, passando da temperature medie, a basse, a molto alte.

Continuare a mantenere il packaging originario, avrebbe causato perdite di cassa importanti. Per questo, il team di sviluppo prodotto – insieme al team marketing – ha deciso di sviluppare un packaging più solido per schermare il contenuto e refrigerare le bottiglie durante tutta la fase di trasporto e stoccaggio, perché l’acqua venisse consumata prima e mantenuta meglio in bottiglia. Sostanzialmente mantenendo meglio la catena del freddo si è riusciti ad eliminare la produzione dei corpuscoli e a garantire un prodotto di qualità come all’origine.

L’export manager si è assicurata che il distributore locale adottasse le nuove indicazioni.

Errore 5: partire a bomba sperando di vendere

Se sei un imprenditore cauto e lungimirante, con quello che ti stiamo per raccontare capirai perché non è assolutamente saggio improvvisare un processo di internazionalizzazione e affidarsi al fai da te, senza possedere il know-how necessario per gestire un sistema di procedure così ampio e delicato.

Nel recente passato, molti sedicenti imprenditori cinesi venivano a visitare le pelletterie del distretto manufatturiero di Scandicci, promettendo agli artigiani di fare ingresso nell’interessante mercato cinese, attraverso grandi catene di lusso orientali. Così partivano ordini spropositati e gli artigiani moltiplicavano gli acquisti sulle materie prime, certi che una spesa ingente sarebbe stata ripagata da guadagni faraonici.

Quegli artigiani sono stati truffati. Gli ordini non sono mai stati evasi e le fabbriche si sono ritrovate piene di materie prime ormai pagate, e senza le ricche commesse che si aspettavano.

La situazione costrinse quelle aziende a svendersi ad altri imprenditori cinesi, arrivati casualmente qualche mese dopo a rilevare quelle aziende per pochi spiccioli.

Queste vicende vogliono metterti in guardia nel non farti prendere dai facili entusiasmi sulla presunta facilità di esportazione. È indispensabile fare tutti i passi necessari per vendere all’estero in maniera seria e sostenibile, e accedere a quelle opportunità crescenti di fatturato che abbiamo evidenziato a inizio articolo.

Internazionalizzare la tua azienda porterà maggiore ricchezza al suo interno, ma solo dopo aver costruito un processo organizzato per tappe potrai trasformare il progetto in vero sbocco commerciale all’estero, proficuo e redditizio.

Concludendo, ti ho spiegato perché fare pubblicità a caso su Facebook o Google in USA o UK equivale a sparare in acqua, sperando di beccare un pesce incautamente salito su in superficie.

Non fotografare le condizioni del mercato e le peculiarità di ogni Paese servirà nella migliore delle ipotesi a perdere tempo, nella peggiore ad asciugare inutilmente la cassa.

In questo articolo ti abbiamo anche illustrato quali sono le figure che ti servono a supporto del processo di internazionalizzazione ed export del Made in Italy.

Per approfondire l’argomento e disporre di un piano di lavoro semplice, abbiamo costruito una intuitiva roadmap in 12 tappe, che puoi scaricare liberamente dal link sotto 👇.

In questo modo, avrai uno strumento utile e funzionale ad organizzare il tuo lavoro.

Scarica la mappa per avere a portata di mano una sintesi e una checklist delle procedure essenziali da adoperare, prima di decidere come esportare il tuo prodotto all’estero.

Sabrina Pellegrini

Sabrina Pellegrini

Da "Poetessa" dalla tenera età di 7 anni e futura poliglotta (sono una russista sfegatata), ho amato sin da subito leggere e scrivere di tutto: poesie, racconti, giochi. Il mio Galeotto nel mondo del copywriting? Un brillante tirocinio in piena pandemia, presso l'Istituto Italiano di Cultura di Chicago, per cui ho gestito i social per un breve periodo, affacciandomi tramite la mia passione più grande per la scrittura e le lingue al mondo del marketing. Viaggiare e scoprire nuove culture è vita che mi permette di macinare parole, ma la Russia rimane sempre la metà dove spendere almeno una settimana ogni anno e trarre ispirazione tra orsi e babushke vendi-fiori.